Presente in tutto il territorio italiano (0- 600 m sl.m., in Calabria fino a 1.100 me sull'Etna fino a 1.800 m) nei boschi aridi, pianta termo-xerofila che predilige gli ambienti caldi caratterizza, è una quercia sempreverde che, arrivando anche ad altezze di 20 m, caratterizza, in purezza e accompagnata da altre specie arbustive ed arborescenti, la Macchia mediterranea.
La pianta è caratterizzata dall'avere foglie che anche sulla stessa pianta possono presentarsi in forme tanto differenti da far pensare a specie distinte. Il margine può essere intero, con denti appena accennati, profondi o addirittura spinosi; l'apice fogliare è acuto e la lamina presenta una forma lanceolata, ellittica, ovale-ellittica o subrotonda. I rami giovani sono di colore grigio e pubescenti (pelosi, proprio per ridurre l'evaporazione), e crescendo perdono questo carattere diventando glabri (senza peluria). La pianta fiorisce in aprile- giugno.
Il legno è a porosità diffusa, il duramen (parte legnosa interna non più vitale del tronco degli alberi che svolge però la funzione di sostegno) è di colore rossiccio e l'alburno (parte legnosa più giovane del tronco, posto subito sotto la corteccia ed è la parte dove scorre la linfa grezza) è di colore chiaro. Si tratta di un legno duro, compatto e pesante, soggetto ad imbarcarsi, difficile da lavorare e da stagionare. È utilizzato soprattutto come combustibile e per la produzione di carbone vegetale. Il legno del leccio è tra i più tannici che si conoscano. I tannini sono sostanze chimiche amare disinfettanti, di colore scuro.
Plinio il Vecchio riporta che con i rami di leccio si facessero le prime corone civiche, sostituito poi da altre querce, come il rovere. Sempre secondo Plinio sul Vaticano si levava il leccio più antico della città, già oggetto di venerazione religiosa da tempi più antichi tanto che su quest'albero era un'iscrizione su bronzo in caratteri etruschi. Sembra che il leccio fosse albero oracolare per i fulgorales a causa della sua predisposizione ad essere colpito dai fulmini, con il tempo però assume una accezione non positiva come albero accomunato a oracoli negativi. Seneca lo considerava un albero triste, tutto scuro com'è. Anche nel cristianesimo esistono dei simbolismi per questa pianta. Nelle isole ioniche una leggenda (raccolta dal poeta Aristotelis Valaoritis nel XIX Secolo) vuole che il leccio fu l'unico albero che acconsentì a prestare il proprio legno per la costruzione della croce; per questo i boscaioli delle isole di Acarnania e di Santa Maura temevano di contaminare l'ascia toccando "l'albero maledetto". Tuttavia nei Detti del beato Egidio – il terzo compagno di San Francesco – il buon nome del leccio viene difeso quando si riferisce che il Cristo lo predilige perché fu l'unico albero a capire che il suo sacrificio era necessario, così come quello del Salvatore stesso, per contribuire alla Redenzione. E proprio sotto il leccio il Signore appariva spesso a Egidio.
In Umbria il Leccio è distribuito su gran parte del territorio collinare e submontano, di natura calcarea ed è particolarmente abbondante sui rilievi del bacino del fiume Nera, dove per il colore scuro delle foglie ne caratterizza il paesaggio vegetale (Lucus). Sono molto diffuse le fitocenosi Leccio e Carpino nero, Leccio e Roverella e tra Leccio e Pino d'Aleppo.
Classificazione: Cronquist
Fonti bibiografiche: Sandro Pignatti, Flora d'Italia- Edagricole. Ettore Orsomando e Federico Maria Tardella, Alberi, Arbusti e Liane della Valnerina e del Ternano- UNICAM - UNIVERSITÀ DI CAMERINO -DIPARTIMENTO DI BOTANICA ED ECOLOGIA
Fonti sitografiche: https://it.wikipedia.org/wiki/Quercus_ilex http://www.alberi.regione.umbria.it/vedi-gli-alberi