È il primo traforo a partire dall'origine e vi si accede da un pozzetto quadrangolare profondo circa m. 5. L'opera fu preceduta dalla realizzazione di un allineamento esterno con pali, seguendo l'impluvio dei due fossi di scolo sugli opposti versanti della collina. Una volta tracciato il percorso e i punti d'ingresso e d'uscita, oltre alle rispettive quote, lo scavo fu intrapreso dai due lati contemporaneamente, con l'ausilio di tre pozzi intermedi, poi richiusi, profondi dai 15 ai 20 metri, utili per verificare l'allineamento, accelerare lo scavo e la rimozione dei detriti. In corrispondenza di questi vecchi accessi, lo stillicidio dell'acqua ha provocato delle suggestive concrezioni calcaree.
Le due squadre di avanzamento si incontrarono in modo pressoché perfetto, quella di monte però avanzò più lentamente e ad una quota più elevata di circa un metro, dislivello che fu raccordato con una leggera rampa. Il cunicolo, scavato nella roccia stratificata impermeabile per una lunghezza di quasi 450 metri, fu consolidato per lunghi tratti con un rivestimento in muratura. Per la copertura venne usato il pietrame cavato, legato con malta di calce, a formare in alcuni tratti una cuspide, e in altri una piccola volta a tutto sesto. In entrambe i casi, per le pareti verticali fu usato lo stesso materiale disposto non orizzontalmente ma obliquamente, a formare un'opera "quasi reticolata".
Come tutto l'acquedotto, il traforo è stato oggetto di continui restauri, molti dei quali testimoniati dalle date scritte sull'intonaco fresco dagli operai nel XVII secolo. Anche gli addetti alle periodiche pulizie hanno lasciato tracce del loro passaggio, con il nerofumo delle candele prima e delle lampade ad acetilene poi, fino alla metà del XX secolo. Oltre a queste testimonianze si trovano i nomi dei sorveglianti ai lavori, detti Soprastanti, in carica il 5 settembre 1620, ossia Mastro Bastiano e Mastro Berto Alberto.